in una intervista col Comandante Bruno Mussolini
introduzione a cura di Flavio Riccitelli
Per meglio capire le vicende che portarono l’Italia ad entrare nello scenario internazionale del trasporto aereo transatlantico, attraverso la costituzione della LATI (Linee Aeree Transatlantiche Italiane), credo sia utile rileggere le fonti, le notizie di prima mano, la voce dei protagonisti. A questo scopo, viene qui riproposta un’intervista al figlio del Duce, direttore generale della neonata società, curata dal giornalista Enrico Meille e pubblicata sulla rivista “Le Vie dell’Aria”, il 6 dicembre 1939 (n. 57), quando si era alla vigilia della inaugurazione della linea.

Per meglio contestualizzare l’intervista e rendere più comprensibile quanto riferito, anche in termini di valore, credo sia utile descrivere brevemente gli avvenimenti che precedettero la realizzazione della nuova linea.
Il motivo principale che stimolò il proposito di realizzare una simile impresa, nei modi in cui essa venne poi effettivamente organizzata, furono senz’altro le imprese 1937/1939 dei “Sorci Verdi”, in particolare nella corsa Istres-Damasco-Parigi e nel volo record Roma-Rio de Janeiro, tutte compiute con un velivolo “terrestre”, il magnifico SM.79 e di cui furono protagonisti Bruno Mussolini e Attilio Biseo.
Venne elaborato un piano di massima e costituita in seno all’Ala Littoria una sezione sperimentale autonoma, alle dirette dipendenze del Presidente Umberto Klinger (Fig. 3B). A capo di questa struttura vennero posti, per l’appunto, il Colonnello Attilio Biseo ed il Comandante Bruno Mussolini. Per l’attuazione pratica del programma si stabilì che la linea italiana sarebbe stata gestita in collaborazione con le linee straniere già esistenti: la francese “Air France” e la tedesca “Deutsche Lufthansa”. L’itinerario avrebbe dovuto essere il seguente: Roma (Guidonia) – Marsiglia – Casablanca – Villa Cisneros – Dakar. Da qui avrebbe avuto inizio il volo oceanico fino a Natal e, quindi il sorvolo della costa brasiliana fino a Rio de Janeiro. Venne redatto di comune accordo fra le compagnie Ala Littoria, Air France e Deutsche Lufthansa, uno schema di Convenzione in base alla quale le due compagnie straniere si impegnavano a fornire agli aeromobili italiani tutti i servizi necessari all’esercizio della linea, compresi anche quelli di assistenza meteo e radio da parte di due navi collocate in determinati punti dell’Oceano.
Fig.3a – Cartolina pubblicitaria dell’illustratore Latini, nella quale con il gioco di nuvole viene disegnato il profilo dell’Italia, accompagnato da un aereo che vola sull’oceano. Fig.3b – Retro della cartolina pubblicitaria presente in copertina, dalla quale si evince l’iniziale filiazione all’Ala Littoria della nuova compagnia
Intanto, mentre le trattative sembravano avviarsi a concreta realizzazione, la Direzione delle Linee Atlantiche procedeva all’organizzazione della propria struttura organizzativa, centrale e periferica. Inoltre, si iniziava a dotare di una propria flotta aerea, formata in larga maggioranza da SM.83. Si trattava di una macchina di diretta derivazione dell’SM.79. La nuova macchina, anch’essa un trimotore, ripeteva le forme del bombardiere, ma appesantite dalla fusoliera più grande, capace di trasportate dieci passeggeri e quattro uomini di equipaggio su tratte di 4.800 Km, con una velocità massima di oltre 440 Km/h. Si presentava dunque come la migliore risoluzione ai problemi dell’Ala Littoria.
Fig.4a – Il prototipo dell’SM.83 ripreso durante i primi collaudi, il cui profilo viene anche richiamato in questa cartolina pubblicitaria della compagnia.
Quando sembravano imminenti i primi voli sperimentali, importanti eventi andarono maturando nel quadro politico europeo, a seguito dei quali il Governo Francese decise non solo di non ratificare l’accordo tripartito, ma anche di negare agli apparecchi italiani il permesso di sorvolo dei territori coloniali francesi. Si decise quindi di trovare un’altra strada.
E’ in questo contesto che va letta l’intervista che qui riproponiamo, sapendo quanto fosse difficile risolvere i problemi logistici che sorgevano immediatamente dopo la semplice scelta del percorso, tenuto conto che, per creare una linea aerea, non bastava cancellare su di una carta geografica un itinerario e tracciarne un altro su nuovo percorso. Va dato quindi il giusto valore all’enorme sforzo organizzativo compiuto, in meno di sette mesi.
Al di là dei contrasti di tipo tecnico sorti intorno alla scelta del vettore, è soprattutto a questi avvenimenti ed ai nuovi compiti che ne seguirono, con l’impiego di adeguati capitali, che è da collegare la decisione del distacco delle Linee Atlantiche dall’Ala Littoria. L’11 settembre 1939, dunque, venne costituita la Società Anonima L.A.T.I. con capitale sociale di 40 milioni di lire. La presidenza venne assunta in un primo momento da Raffaele Ricciardi, poi sostituito dal Generale Aurelio Liotta. Consigliere Delegato fu nominato il Colonnello Attilio Biseo, che insieme con Bruno Mussolini, ricopriva la carica di Direttore Generale.
A questo punto, non ci resta che ascoltare direttamente la voce di uno dei protagonisti.
Una nuova sigla che sta per entrare fra quelle più conosciute dal grande pubblico italiano, una sigla che ha suscitato attorno a sè molto interesse, molta curiosità, molte domande. Linee Aeree Transcontinentali Italiane, trasformazione in società indipendente delle linee atlantiche dell’Ala Littoria, con un programma immediato ed uno avvenire di così vasta portata da metterla senz’altro in prima linea fra le grandi compagnie di aerotrasporti del mondo intiero. Il pubblico ama le imprese audaci e grandi, le imprese di prestigio, quelle che rispondono non solo ai criteri commerciali, per quanto su questi solidamente basate, ma che prosperano per capacità organizzative tutte nostre, derivano da idee nostre, sono rette da uomini nostri in gara con altre organizzazioni, con altre idee, con altri uomini, degni della massima considerazione. Questo però non basta ancora a spiegare tutto l’interesse del pubblico, acuito dalla notizia della imminente inaugurazione della linea del sud Atlantico, annunciata da riuscitissimi cartelloni che hanno in questi giorni coperto le mura cittadine. Il pubblico, il popolo, segue con particolare affetto la nuova impresa perchè sa che uno dei dirigenti della nuova società è il più giovane dei figli aviatori del Duce, quegli che dopo le prove di guerra, ha voluto cimentarsi in quelle dell’aviazione di pace, ed ha scelto le più ardite. Per questo, abbiamo chiesto un colloquio a Bruno Mussolini. Nessuno meglio di lui poteva parlarci della L.A.T.I. che egli ha contribuito a creare e che contribuisce validamente a dirigere, con criteri solidi ed audaci, ponderati e giovanilmente agili.
La stanza nella quale siamo ricevuti, tutta chiara, luminosissima, è ben diversa dalla stanzetta ingombrante di suppellettili (tre metri per tre, alloggio per tre persone) dell’Asmara e della baracca rabberciata alla meglio di Son san Juan. Ma il volto sorridente è lo stesso, identica è la cordialità con la quale siamo ricevuti e le risposte alle varie domande che gli andiamo via via rivolgendo sono sempre precise. Del resto, anche qui, come allora, figurano sulla parete le carte aeronautiche con le linee dirette delle rotte già segnate: solo che ora le grandi carte a proiezione isogonica transversa abbracciano d’un sol tratto l’Europa e l’America, mentre allora erano le piccole carte imprecise di un impero mal conosciuto o quelle precise del Mediterraneo occidentale. Ma sono, ora come allora, l’immagine dell’impresa, che è sempre impresa audace ed alata.
Organizzazione dell’infrastruttura
Chiediamo dapprima sulle difficoltà d’organizzazione che la società ha” dovuto superare.
Non sono state davvero poche – dice Bruno Mussolini – Basta pensare che tutti gli accordi erano già presi per usufruire in comune di alcune basi stabilite da altre linee transatlantiche già esistenti, che noi avremmo contribuito a perfezionare organizzando su di esse tutto il nostro servizio meteo e di assistenza; improvvise difficoltà di carattere talvolta poco simpatico ci obbligarono a rifare tutto da capo, creando un sistema di infrastrutture esclusivamente nostro; e questo ci costò molto tempo ed anche molte fatiche, perchè, decisa la linea esclusivamente nostra, la volemmo naturalmente spinta per quanto possibile alla perfezione. Così, non giudicando adatto alle nostre mire lo scalo di Porto Praia, ma pur giudicando le isole di Capo Verde come base di partenza per il balzo transoceanico, creammo sulla più adatta di esse ai nostri scopi, la cosiddetta Isola del Sale, una base veramente ottima. Creammo una base; sono tre parole sole, ma bisogna pensare che su questa isola, la più orientale dell’arcipelago, non esisteva prima del nostro arrivo assolutamente nulla.
L’Isola del Sale
Quest’isola deve il suo nome ad una salina naturale esistente nell’interno di un vulcano spento, ed è sfruttata da una società francese, che vi mantiene alcuni bianchi e qualche centinaio di indigeni, riforniti una volta ogni due mesi da un piroscafo. Nell’isola, al di fuori dello stretto indispensabile per assicurare la vita di questa gente, non c’è nulla. Neppure acqua potabile, almeno per noi, neppure un albero, se si esclude qualche palmizio stento. In compenso il clima è buono; forse eccessivamente caldo, ma senza perniciosa umidità ed è battuta quasi sempre da un vento che non ha nulla di sgradevole. La parte pianeggiante dell’isola si presentava ottimamente a stabilirvi un aeroporto e questo fu il motivo principale che ci decise. Qualunque lavoro al suo inizio non è agevole a compiersi; ma diventa penoso quando tutto fa difetto: all’isola del Sale mancavano persino le possibilità di approdo, mancavano i mezzi di trasbordo, in una parola, mancava tutto! Così, dovemmo cominciare a varare dalla nave stessa che trasportava i primi uomini ed il primo materiale per la base, le maone! Ma volevamo fare dell’isola del Sale la nostra base e l’abbiamo fatta. Dapprima costruimmo semplici baracchette, per ricoverare gli uomini, poi portammo tutto il necessario per un buon inizio: centrale elettrica, carri officina, baracche grandi, macchine, utensili, suppellettili, viveri, acqua, stazioni radio, aviorimesse… un mondo addirittura. Ora la base c’è. Un campo perfettamente livellato di 2000 metri per 1800, senza una buca, senza un sasso. Ce n’è voluto a spianarlo! E poi un piccolo villaggio, fatto di baracche che hanno di baracca solo il pittoresco nome, ma sono vere e proprie casette dotate di tutti i conforti; due grandi aviorimesse ospiteranno i nostri apparecchi del tratto atlantico e quelli che verranno. Inoltre esiste una perfetta officina, in grado di eseguire qualsiasi riparazione e revisione, una perfetta centrale elettrica e due stazioni radio per l’assistenza ai velivoli sia per la parte meteorologica che per la parte radiogoniometrica.
In complesso, potranno vivere ed operare alla base ben cinquanta uomini, ai quali tutto sarà prodigato per rendere confortevole il loro soggiorno. Veramente preziosa è stata in questa dura impresa l’opera del comandante Moretti, dell’ing. Biseo e quella del comandante Castellani.

La scelta degli aeromobili
Una questione che si sente spesso sollevare a proposito di linee aeree transatlantiche è quella della scelta degli apparecchi. Voi avete scelto apparecchi terrestri e trimotori… Bruno Mussolini sorride. Certamente questa che ho posto è una “vexata quaestio!”.
E’ una faccenda – mi risponde infatti – che fu già dibattuta proprio sulle “Vie Dell’Aria”. Ad ogni modo, io penso che la formula tipicamente italiana del trimotore è quella di assicurare con certezza la permanenza in volo con un motore fermo anche per lunghissimi percorsi. Sicurezza di restare in aria innanzi tutto! Anche se caricati come lo sono gli apparecchi che debbono d’un sol tratto scavalcare 3000 chilometri e con un carico pagante a bordo. Questo per i tre motori. Per il fatto dei terrestri poi, non credo di fare una scoperta affermando che, sull’oceano, la sicurezza che offre un idro non grandissimo in servizio regolare di linea, che deve affrontare la traversata anche con mare cattivo, non è superiore a quella offerta da un terrestre. I nostri aerei possono galleggiare a lungo, quanto lo potrebbe un idro del medesimo tonnellaggio. Perciò io credo che, sino a quando la linea non richiederà per il suo sfruttamento e per il trasporto dei passeggeri apparecchi di maggior mole e di peso superiore alle 50 tonnellate, ragioni aerodinamiche indiscutibili faranno sempre preferire un terrestre, con il quale si cammina di più e si consuma di meno.
Immaginiamo che il servizio meteorologico e di assistenza abbia richiesto particolari cure…
Certamente, la Società ha dato ad esso la massima importanza e credo che veramente tutto il possibile sia stato fatto. Sotto la direzione del dott. Martinozzi infatti abbiamo impiantato, oltre che delle stazioni europee, le stazioni di Villa Cisneros, Isola del Sale, Isola Fernando de Noronha, Pernambuco e Bahia. Inoltre disponiamo di due navi, la “Alato” e la “Librato”, che fungono da stazioni meteorologiche e radiogoniometriche in pieno Atlantico. La stazioni dell’Isola del Sale e di Pernambuco sono doppie e funzionano anche come centri di raccolta notizie per l’emissione periodica dei bollettini. Quanto alle navi, la prima dipende dalla base dell’Isola del Sale ed dislocata a 500 chilometri sud-ovest, lungo la rotta, e la seconda che dipende dalla base di Pernambuco, è dislocata sempre sulla rotta a 500 chilometri nord-est di Fernando di Noronha. In tal modo non solo gli apparecchi possono essere seguiti punto per punto durante il viaggio, ma possiamo anche sapere le condizioni del tempo su tutto il percorso, con anticipo tale da permetterci l’adozione delle varianti suggerite dall’andamento delle pressioni e delle depressioni.
Per fare questo, gli apparecchi debbono disporre quindi di una autonomia molto superiore a quella strettamente necessaria alla traversata.
Infatti. Gli apparecchi decollano dall’Isola del Sale con un carico di quattro tonnellate, oltre al carico pagante di 700 chili. Data la velocità e la finezza dei nostri apparecchi, gli ottimi “S.M. 83”, ci possiamo permettere il lusso di viaggiare assai ridotti pur mantenendo una media assai elevata, certamente superiore, senza vento contrario, a 350 chilometri l’ora. Come vedete perciò abbiamo un vasto margine di sicurezza.
Immagino che gli Stati interessati avranno fatto la migliore accoglienza alla linea.
Il particolare momento che l’Europa attraversa ha certamente contribuito ad acuire l’interesse di tutti gli Stati interessati sulla nostra linea, che manterrà, unica, le regolari comunicazioni aeree fra l’Europa e l’America del Sud. Ma essa ha un particolare intrinseco valore perchè allaccerà direttamente sia i paesi iberici con quelli Americani di pari lingua, sia l’Italia con le sue numerose colonie viventi nel Sud-America, le quali hanno accolto la nostra iniziativa con vero entusiasmo. La simpatia degli Stati interessati si è manifestata in mille modi e particolarmente nella premura con la quale ogni difficoltà fu rimossa ed ogni divergenza appianata. Durante la mia recente ispezione ai lavori lungo la linea, ebbi l’alto onore di esser ricevuto a Lisbona dal Generale Carmona e da S.E. Salazar; i quali ebbero entrambi parole di simpatia per il nostro paese e per la nostra impresa. Anche durante il lavoro per la sistemazione della base dell’Isola del Sale le autorità portoghesi ci hanno sostenuti con vero spirito di collaborazione fattiva.
I tre tronchi della linea
La linea è quindi destinata a sicuro sviluppo e ad ulteriori ampliamenti…
Il nostro programma attuale è una corsa settimanale nei due sensi. Come già è noto, le tappe sono Roma, Siviglia, Lisbona, Villa Cisneros, Isola del Sale, Pernambuco, Rio de Janeiro.
Contate anche di trasportare passeggeri?
La linea è per ora esclusivamente postale. Ma in un non lontano avvenire potrà anche diventare per passeggeri. Ogni progetto è tuttavia prematuro… sebbene io possa già dire che una linea-passeggeri, nella quale il conforto del viaggio deve secondo me passare in prima linea, non potrà eventualmente essere esercitata che con grossi idrovolanti.
Come organizzazione interna della linea, in che maniera vi siete regolati?
La linea è divisa in tre tronchi. Il primo, impropriamente chiamato europeo, è gestito da tre apparecchi e va da Roma all’Isola del Sale. Sarebbe quindi più propriamente un tronco europeo-africano-semiatlantico, se si considera che la traversata dalla costa africana all’Isola del Sale comprende ben mille chilometri di mare aperto. Poi vi è il tratto prettamente atlantico, servito da quattro apparecchi ed infine il tratto americano, con tre apparecchi per ora, ma che ne avrà quattro, quando la linea giungerà sino a Buenos Aires.
Quanto ai piloti…
Uomini sui quali si può fare sicuro affidamento. I capi equipaggi del primo tronco sono infatti Suster, Carelli, e Rapp. Quelli del secondo Castellani e Satti, che hanno la loro sede all’Isola del Sale mentre Paradisi e Moscatelli l’hanno a Pernambuco. In America poi gli apparecchi sono affidati a Mencarelli, Ferioli ed a Pavia. Tutta gente che sa il fatto suo e che per di più ha seguito un particolare corso di navigazione astronomica, che ha dato risultati veramente lusinghieri. Noi contiamo molto sulla radio, certamente, ma non abbiamo voluto trascurare alcun mezzo per assicurare la massima regolarità e la massima sicurezza alla nostra linea.
E… a quando, l’inaugurazione? Bruno Mussolini si fa pensoso.
Nella vita sempre – soggiunge – e nel nostro mestiere specialmente, non bisogna parlare che a cose fatte. Io ho parlato molto oggi, ma su argomenti già affrontati e superati, su dati di fatto certi, reali. Parleremo dell’inaugurazione quando sarà già avvenuta. Accettate intanto, come ricordo di questa nostra conversazione, il distintivo che abbiamo inaugurato pochi giorni fa. Vi piace?
Sicuro che mi piace. Il grande uccello oceanico ripete nel gioco delle immense ali una M. E questo spiega molte cose.